Di Gianni d’Amato, ingegnere e segretario del Comitato Territoriale Valle del Sarno sezione Eugenio Fresi
E se la mancata manutenzione ordinaria di un’opera come la grande bonifica del Sarno fosse un reato? E’ una domanda che ci siamo posti più volte discutendo dell’argomento Sarno con i soci e gli amici che seguono le nostre vicende da oltre 30 anni, da quando, cioè, insieme al prof. Eugenio Fresi, si cercavano soluzioni alternative alla evidenza delle troppe carenze del grande progetto di disinquinamento, noto con la sigla PS3 (Progetto Speciale n° 3 per il disinquinamento del Golfo di Napoli), in essere dal 1975 e mai completato. la domanda ce la siamo posta ben prima del disastro della vigilia di ferragosto del 2018 quando crollò il ponte Morandi a Genova. In effetti ce la poniamo da quando si parla del Grande Progetto Sarno (GPS), della seconda foce e delle vere ragioni che indussero il generale Jucci, alla fine di giugno del 2011, dopo 8 anni di impegno totale, con risultati davvero straordinari e mai visti prima (e neanche dopo), a dimettersi dal suo incarico di Commissario Straordinario di Governo per la bonifica del fiume Sarno. Infatti, il generale, avendo verificato lo stato degli alvei e essendosi reso conto del pericolo di esondazione, sia del fiume che dei canali affluenti, anche a seguito di piogge non eccezionali, stava portando avanti, con grande difficoltà per la scarsa collaborazione dei tecnici del suo ufficio, l’idea di dragare il fondo del fiume e dei canali per ripristinarne le sezioni idrauliche originarie e consentire il recupero dei percorsi di servizio lungo gli argini, assolutamente indispensabili per la manutenzione e l’accessibilità alle vie d’acqua in caso di necessità. In effetti il generale Jucci, dopo vari sopralluoghi, alcuni dei quali fatti anche in mia compagnia, decise di attuare uno dei presidi di sicurezza che avevo suggerito e che poteva costituire il primo passo per l’attuazione di un progetto di recupero ambientale. Non solo, quindi, di una razionalizzazione della distribuzione delle portate (finalizzata solo alla difesa dal rischio idraulico), ma anche di una bonifica con recupero dell’ambiente, in modo biologico e naturale, del fiume Sarno con le sue portate costanti, per l’apporto delle tre sorgenti principali: Foce, Palazzo e Lavorate. Il progetto consisteva essenzialmente nella realizzazione nell’Alveo Comune Nocerino (ACN) di uno sfioro delle portate di tempo asciutto (quelle più inquinate) fino al limite di portata ammissibile del Controfosso Sinistro (CFS), in modo da separare le portate di acque sorgentizie, destinate all’alveo principale del Sarno e nel canale Bottaro, da quelle “torrentizie” provenienti da Solofra e Cava, collettate dall’Alveo Comune Nocerino (ACN) e trasferite nel Contro Fosso Sinistro (CFS), affluente artificiale del Sarno a valle di Scafati, nel tratto raddrizzato dai Borbone e reso, di fatto, canale scolmatore.
In tal modo le acque superinquinate, provenienti da Solofra, non si sarebbero più mescolate a quelle sorgive e di buona qualità, provenienti da Sarno (sorgenti di Foce, Palazzo e Lavorate) e queste, difese dal sistema di alvei pensili (come è il Sarno a valle del ponte di San Marzano e il canale Bottaro), avrebbero potuto costituire il “corridoio ecologico” che, mettendo in comunicazione il mare di Rovigliano con le sorgenti, avrebbe ripristinato le reti trofiche necessarie al riequilibrio ambientale dell’ecosistema e consentito la risalita dei pesci, come l’anguilla famosa del Sarno. Questo era, in sostanza, il progetto elaborato con il professor Eugenio Fresi fin dai primi anni del 1990. Ma, il buon generale si scontrò fin da subito con un muro. Prima di tutto, anche a livello regionale, si brigò per fermare il progetto (propedeutico), finalizzato al dragaggio del fiume e dei suoi affluenti per restituire alle opere idrauliche le loro originarie sezioni. Poi, con la complicità dei tecnici del suo ufficio, che cominciavano a boicottarlo, si fermò anche il progetto per la realizzazione dello sfioro del ACN nel CFS, a difesa del Sarno. Cosa stava succedendo ? Il generale, intanto, allo scadere del mandato non rinnovato, deluso ed amareggiato, lasciò l’incarico il 1° luglio del 2011. Con il tempo ho “capito”, collegando i fatti. Nel 2006, la Commissione d’inchiesta del senatore Cozzolino, concentrandosi su un altro scandalo emergente, quello delle opere incompiute della trasformazione del canale Conte di Sarno, dopo aver ascoltato i veri responsabili, dal RUP ingegner Topa, al Presidente Bassolino, praticamente “impose” alla riluttante Regione Campania, a guida Bassolino, l’immediata risoluzione del contratto ancora in essere con la CCC, dopo circa 10 anni di inerzia, in attesa di un progetto veramente alternativo e risolutore, e nonostante che la Regione Campania avesse refuso altri cento milioni di euro solo per il “mantenimento” delle recinzioni dei cantieri, senza lavori né operai. Come tutti sanno, la risoluzione ci fu ma, invece di essere formulata in danno del concessionario inadempiente, fu semplice e immediata. Senza costi e senza penali! Anche se i danni calcolati a braccio avrebbero dovuto essere di almeno 500 milioni d’euro. Ma così fu. Risoluzione semplice con opere incompiute, che procurano ancora danni, ma con grande “soddisfazione” reciproca degli attori di questa strana e inquietante vicenda. Nel frattempo, pur di giustificare almeno in parte le faraoniche ma inutili opere della CCC, il professor Cannata si inventò, con grande soddisfazione di Bassolino, la “seconda foce del Sarno”, là dove, qualche anno prima, spendendo gli ultimi soldi, la CCC aveva realizzato lo “scatolare di via Solferino”, dove avrebbero dovuto arrivare le acque “meteoriche” del Conte di Sarno. E così nasce, qualche anno fa, partorito no, ma elaborato sì, da Arcadis, il famoso e famigerato Grande Progetto Sarno (GPS). Combinazioni strane che mi hanno sempre fatto arricciare il naso. Quale il “collegamento”? che non c’era alcuna voglia, né interesse, di aiutare il generale a risolvere i problemi del Sarno, ma si era concentrati (ormai da oltre un decennio) su come risolvere il groviglio di problemi in cui si era infilata la concessionaria che Bassolino, fin dal 1986, quando, per intercessione dello stesso, allora segretario del PCI di Napoli, il CSGRC (Commissario Straordinario di Governo per la Regione Campania) assegnò alla stessa CCC, in estensione di una precedente concessione, la n° 3 del 14.11.1981, relativa alla realizzazione del famoso Piano Napoli di Boscoreale, quella (di tutt’altra natura) dei lavori per la sistemazione del canale Conte di Sarno (ord. n° 496 del 26.04.1986). I “Problemi” della CCC, infatti, erano sia economici (si rischiava il fallimento di una delle imprese consortili più grande del sistema delle cosiddette “cooperative rosse”), che di carattere giudiziario e, nello specifico, penali, per il coinvolgimento dei vertici aziendali in un giro di mazzette e di stretti rapporti con la camorra (vedi i famosi processi di Nola). Ma, con l’aiuto di Bassolino, con due sentenze della Magistratura del 2001 e del 2004, e con la risoluzione semplice del contratto di concessione del 2007, si risolse tutto senza danni, se non per la collettività e per l’ambiente. Tipico. Il generale Jucci, a mio giudizio, aveva capito tutto e ha tentato in tutti i modi di recidere il legame Regione/CCC, unica condizione per poter attuare ciò che aveva deciso. La sua idea era di realizzare un intervento finalmente risolutivo sul Sarno a partire dalla condizione propedeutica irrinunciabile di ripristinare, con il dragaggio degli alvei e la sistemazione delle sponde e dei percorsi di servizio sugli argini, le sezioni idrauliche originarie di progetto, nonché di razionalizzare la distribuzione delle portate, non solo per la riduzione del rischio idraulico ma anche ai fini della difesa della qualità delle acque sorgentizie del fiume per un possibile successivo recupero dell’ecosistema.
Ma evidentemente ai vertici della Regione, ma non solo, non si vuole risolvere il problema. Perché? A mio giudizio la risoluzione del problema (che è semplice), chiuderebbe i rubinetti che finora hanno erogato milioni di euro, sui quali si basa tutta una economia perversa che si autoalimenta intervenendo con soluzioni costose, ma non risolutive. Ve la ricordate la favoletta del pescatore che si fa curare la ferita nel piede dal dottore? E il Grande Progetto Sarno, rientra perfettamente in questa tipologia di interventi. E ve lo dimostro: Cosa può “risolvere” la realizzazione di un bacino di laminazione ai margini di un’area residenziale, quando l’acqua presente negli alvei è formata dagli scarichi tossici di industrie di vario genere, da quelle conciarie a quelle conserviere? Ovviamente, se pure dovesse risolvere il problema idraulico, non risolverebbe certamente quello della “vivibilità” della zona. Che senso ha realizzare un progetto di riassetto idraulico del fiume senza prendere atto della realtà in cui si trova e senza confrontarla con la situazione di progetto. In altre parole, non ha senso verificare le portate ammissibili di deflusso dei vari tratti quando questi hanno perso la sagoma originaria di progetto a seguito dei detriti che hanno sollevato il fondo degli alvei anche di due metri e la sezione idraulica si è “inselvatichita” per l’abbandono ultra quarantennale? Cosa può “risolvere” la trasformazione del canale Bottaro, che da canale pensile, testimone della prima industrializzazione nel mezzogiorno del XVII secolo, viene mutato in un canale “scolmatore” avente sostanzialmente la stessa funzione del tratto rettificato del fiume Sarno, con una portata di supero di 30 mc/sec? Poiché è uno scolmatore delle portate di supero, cioè quelle oltre i 130 mc/sec, questo canale potrà essere impegnato statisticamente una volta ogni 150 anni. Nel frattempo, atteso l’andazzo attuale della totale mancanza di ordinaria manutenzione, si riempirà di rifiuti e/o di vegetazione, esattamente come si presenta oggi dopo 15 anni di abbandono. Le “osservazioni” al GPS sono innumerevoli! ma non sono l’oggetto di questo studio. Conviene, invece, approfondire un aspetto che, come si vedrà, individua delle responsabilità enormi da parte della Regione. Che ruolo ha la manutenzione ordinaria nella conservazione delle opere pubbliche e delle bonifiche ? Secondo le leggi vigenti, la manutenzione ordinaria è o no obbligatoria per gli Enti responsabili della gestione e conservazione delle opere? Può o no omettersi la manutenzione ordinaria e sostituirla esclusivamente con interventi straordinari? Vorrei innanzitutto ricordare che il Regno di Napoli è stato tra i più attivi tra il 1815 e il 1861 nella bonifica di vari territori (tra cui anche la bassa valle del Sarno), interessati da malaria e, dopo aver accumulato una lunga esperienza sul campo, grazie anche al contributo e alla alta specializzazione della Scuola di Ingegneria idraulica napoletana, varò nel 1855 il primo Testo Unico sulle Acque (Legge 11.05.1855) con cui si istituì l’Amministrazione Generale delle Bonifiche, un vero e proprio Ministero per l’Ambiente, e si approvarono i Regolamenti attuativi con cui si stabiliva quale fosse il canone di partecipazione alla spesa del privato proprietario, in base al beneficio ricevuto, e soprattutto come e quando intervenire per preservare le opere idrauliche.
Il “GRANDE PROGETTO SARNO”: COME MIGLIORARLO SENZA STRAVOLGERLO
Essenzialmente le critiche mosse al GPS, in gran parte implicitamente contenute nelle 43 pagine di valutazione di impatto ambientale, derivano dal fatto che è un progetto essenzialmente “idraulico” che vuole mitigare i rischi di esondazione causati da una serie di carenze strutturali nonché dalla scarsa attenzione e/o insufficiente manutenzione ordinaria, rinviando in altra sede e a tempi successivi la risoluzione dei problemi ambientali connessi ai ritardi ultratrentennali del vecchio e inattuato (ma anche superato) PS3, il Progetto speciale per il disinquinamento del golfo di Napoli e del fiume Sarno. Quindi il GPS rinuncia ad essere un progetto organico, finalizzato alla risoluzione di tutti i problemi connessi alla situazione attuale, che riguarda essenzialmente due aspetti: il rischio per la salute dovuto al forte inquinamento ambientale; il rischio idraulico connesso al pericolo di inondazioni e allagamenti per una area fortemente antropizzata. Di conseguenza, la preoccupazione che le numerose vasche di laminazione previste lungo il percorso, da Solofra alla foce, siano interessate da acque non solo meteoriche, è vivissima e la popolazione giustamente teme che i danni all’ambiente per l’inquinamento – ancora troppo elevato – delle acque degli affluenti, possano essere ancor più gravi di quelli causati dal rischio di esondazione, atteso che i costi per la gestione e la manutenzione delle vasche sono troppo alti e le risorse degli Enti preposti al loro mantenimento insufficienti. Comunque, atteso che il progetto è in essere ed i fondi necessari per la risoluzione dei problemi del Sarno sono disponibili, si elencano di seguito le proposte migliorative ad integrandum per la risoluzione non solo dei problemi idraulici ma anche per il recupero ambientale di una buona parte del sistema idrografico e in particolare del fiume Sarno, distinguendo strategicamente quella parte caratterizzata da un regime pressoché costante di acque sorgentizie di buona qualità (detta “fiume Sarno”), dall’altra interessata da un carattere torrentizio con estrema variabilità delle portate, fortemente dipendente dalle acque meteoriche (sia di 1° che di 2° pioggia) e da quelle di scarico in genere (torrenti “Solofrana e Cavaiola”). Si premettono soltanto le “osservazioni”, di carattere generale, di seguito riportate: a) La caratterizzazione biologica del fiume Sarno è dipesa essenzialmente, nel corso della sua storia, dalla presenza di lagune costiere e da una ampia zona di acque “miste” a bassa salinità, che ne ha determinato la ricchezza in termini di biodiversità. Tale caratterizzazione si è conservata fino alla metà dell’800 quando, ad opera dei Borbone del Regno di Napoli, furono compiute le grandi opere di bonifica resesi necessarie per “correggere” gli effetti sull’ambiente (malaria), causati dalle alterazioni del sistema idrografico naturale (chiuse Piccolomini etc). Infatti, con la rettifica del fiume da Scafati alla foce, fu prosciugata l’ultima laguna costiera (detta “stagnone”) che, ancora oggi, dopo circa 150 anni, conserva, nonostante tutto, la memoria biologica di ciò che è stata e che, fino a qualche anno fa, costituiva ancora un rifugio per l’avifauna di passo. Il professor Eugenio Fresi, grande esperto di biologia marina, nei primi anni 90 elaborò un progetto che prevedeva il recupero biologico del fiume Sarno partendo proprio dal recupero della laguna costiera dello “Stagnone” e dal ripristino del “corridoio ecologico” delle acque sorgentizie dalla foce alle sorgenti naturali, evitando il formarsi dei “diaframmi tossici” (come per esempio l’intersezione del fiume naturale con acque “torrentizie”, a forte concentrazione di “tossici”, come quelle portate dall’Alveo Comune Nocerino, in seguito ACN. b) Ciò che condiziona lo stato di salute dell’ambiente fluviale è essenzialmente la qualità delle acque in condizioni di tempo asciutto. In tali condizioni, infatti, le portate che interessano gli alvei sono o le portate delle sorgenti naturali (se prevalenti) o le portate dei reflui che vi sono scaricati. Di conseguenza, dal punto di vista “ambientale”, sarebbe necessario “verificare” la compatibilità del “sistema” fiume Sarno anche nei confronti delle portate minime o di tempo asciutto, perché il rapporto tra acque naturali e quelle reflue è essenziale per la vita nell’ecosistema. Condizione irrinunciabile è che le acque reflue siano assolutamente prive di sostanze tossiche o antibiotiche, incompatibili con la vita. Ciò comporta, per esempio, riconsiderare il “peso” sull’ambiente delle cosiddette “acque di prima pioggia”, perché in alcuni casi, proprio per l’eccessivo loro carico inquinante da metalli pesanti, queste sono particolarmente “distruttive”, non solo per gli ambienti naturali, ma anche per gli stessi impianti biologici di depurazione. Altra conseguenza è che l’ecosistema fiume, caratterizzato da portate costanti, mal sopporta sia variazioni eccessive in termini di quantità (portate affluenti) che di qualità (specialmente se si tratta di reflui “tossici”). c) Dal punto di vista “ambientale” la differenza tra un alveo pensile, un alveo naturale e uno scolmatore è che il primo soltanto garantisce la costanza sia in termini di quantità (portate) che di qualità delle acque che vi entrano, fino al recapito finale. In altri termini, ciò che può garantire la realizzazione di un “corridoio ecologico” tra lo “stagnone” e le sorgenti naturali, è solo un canale pensile, perché in esso la qualità e la portata delle acque in entrata si conserva fino alla uscita per la assenza di ulteriori apporti esterni. Di contro, un alveo naturale o un canale scolmatore è costretto a ricevere lungo il percorso apporti di portate esterne di qualsiasi natura ed è quindi assai più difficile difenderne la qualità delle acque. In effetti, la funzione di canale scolmatore del sistema, a partire dalla rettifica borbonica, è svolta proprio dall’alveo principale del fiume nel tratto che parte dalla confluenza del controfosso sinistro a valle di Scafati, fino alla foce. d) Il punto di massima criticità del sistema fiume Sarno è rappresentato dalla immissione (artificiale) delle acque dell’Alveo Comune Nocerino (ACN). In termini quantitativi, le portate di piena che l’ACN scarica nel Sarno impediscono il normale deflusso delle sue portate sorgentizie, per cui queste rigurgitano a monte provocando esondazioni nella zona di Lòngola che, in antico – quando il sistema naturale prevedeva un percorso diverso per le acque torrentizie – non si sono mai verificate. Dal punto di vista ambientale, le portate di tempo asciutto dell’ACN, a partire dalla fine degli anni 60, sono caratterizzate dalla presenza in forti concentrazioni di metalli pesanti che, nel giro di poco tempo, hanno distrutto ogni forma di vita nel fiume, a valle del punto di immissione che corrisponde alla zona detta “ ‘a ciamp’e cavalle”. Una immediata conseguenza della derivazione delle acque dell’ACN, prima della immissione nel Sarno, avrebbe come effetto immediato :
a) il miglioramento delle condizioni di deflusso delle portate nel fiume,; b) l’eliminazione delle cause che provocano le esondazioni nelle aree a monte; c) di conseguenza, il drastico ridimensionamento delle aree a rischio idraulico a monte (Zona di Vettica etc). Ciò, non solo perché, dal punto di vista ambientale, la qualità delle acque sorgentizie che si registrano per esempio all’altezza del ponte di S. Marzano potrà giungere, attraverso il sistema “pensile” del fiume Sarno, tra il Ponte di San Marzano e le paratie del centro di Scafati (con enormi ricadute positive sull’ambiente urbano) e da qui, attraverso il canale pensile Bottaro, anche la zona litoranea dello Stagnone, garantendo con poca spesa la realizzazione del “corridoio ecologico”. Premesso quanto sopra, che è la proiezione obiettiva degli effetti dell’intervento qui proposto, si elenca di seguito la articolazione degli interventi migliorativi “ad integrandum” auspicati e possibili per il GPS: INTERVENTI SUL SISTEMA A VALLE DELLA VASCA CICALESI: 1.a. ALVEO COMUNE NOCERINO: REALIZZAZIONE DELLO SFIORO DELLE PORTATE DI TEMPO ASCIUTTO FINO AL LIMITE DI CAPACITA’ DEL CONTROFOSSO SINISTRO. Si tratta di trasformare lo sfioro esistente, previsto per le portate di piena, in uno sfioro delle portate di magra, tale da assicurare il deflusso delle acque dall’ACN al CFS (Contro Fosso Sinistro) fino al limite ammissibile di portata dello stesso (circa 50 mc/sec). Ciò comporta, come opera consequenziale, la revisione delle quote del ponte che sormonta il canale a valle della immissione. Il collegamento con il fiume Sarno potrà avvenire solo nel caso di portate di supero, oltre i 50 mc/sec. E in questi casi quindi con rapporti di diluizione tali da non creare danni all’ambiente fluviale. Ulteriore opera conseguenziale sarà la pulizia dell’alveo artificiale denominato “controfosso sinistro” (CFS) e il miglioramento della sua sezione idraulica, soprattutto per le portate di magra. 1.b. CANALE BOTTARO – STAGNONE: COLLEGAMENTO DEL CANALE PENSILE “BOTTARO” ALLO STAGNONE attraverso il recupero, la valorizzazione e il restauro sia dello stesso storico canale Bottaro, sia dei canali storici di irrigazione ancora esistenti nella zona dell’antica masseria Castriota, via Terragneta e via E. Ercoli, nonché delle strutture ancora visibili degli antichi molini (De Rosa, Bottaro etc) che testimoniano il livello di industrializzazione presente nella zona fin dal 1600. Inoltre, ripristino dei collegamenti trasversali tra il canale Bottaro (canale di carico) e l’alveo principale del Sarno. RECUPERO BIOLOGICO-AMBIENTALE DELLA LAGUNA COSTIERA (STAGNONE), RIPRISTINO DELL’AREA UMIDA PER L’AVIFAUNA DI PASSO, con attivazione di processi di acquacultura sperimentale al fine di riattivare le reti trofiche necessarie al recupero ambientale dell’intero ecosistema. Inoltre, possibilità di utilizzazione dello stagnone a scopo didattico-scientifico e di laboratorio ambientale per istituti di ricerca nazionali e internazionali. 1.c. PORTO-CANALE DI FOCE: RISAGOMATURA E TRASFORMAZIONE DELL’ULTIMO TRATTO DEL FIUME SARNO, A VALLE DI PONTENUOVO, IN PORTO CANALE, rendendolo accessibile via mare ad imbarcazioni da diporto e turismo, con ripristino delle antiche aree di esondazione controllata, eliminazione delle costruzioni abusive e riqualificazione ambientale dell’area. Inoltre,revisione del le sezioni idrauliche in modo tale da contenere – senza rischio di esondazioni come quelle che avvengono ormai periodicamente – anche piene eccezionali con portate superiori a 160 mc/sec. 1.d. RIPRISTINO DELLA NAVIGABILITA’ NELL’ULTIMO TRATTO DEL SARNO: RIPRISTINO DELLE PARATIE BORBONICHE DI PONTENUOVO E DELLA CONCA DI NAVIGAZIONE, oggi obliterata abusivamente, in modo da consentire la navigazione fluviale fino all’altezza della masseria Piscicelli. Inoltre, ripristino del vecchio Ponte nuovo, conosciuto localmente come “’o ponte de’ figliole”, con i suoi decori in ghisa (le quattro “figliuole” e le targhe commemorative, fatte sparire nel ’43 dopo la distruzione tedesca del Ponte e la ricostruzione “povera” e minimalista del Genio Civile dell’epoca). 1.e. SCAVO DEI NAVALIA E DEL PORTO ANTICO: Ripristino dell’antica ansa della laguna interna, tra la striscia litorale di Moregine e via Aldo Moro-masseria Piscicelli (che può funzionare come area ad esondazione controllata), dove si stima essere l’antico porto di Pompei con gli attigui “Navalia”. Inoltre ripristino dell’ antico collegamento con la città di Pompei attraverso l’antica via Stabiana, fino alla porta di Stabia, per l’accesso del turismo crocieristico dal mare di Rovigliano fino alla zona dei Teatri di Pompei.
1.f. Rinaturalizzazione delle sponde lungo il corridoio ecologico Stagnone- Bottaro – Sarno – sorgenti.
1.g. Recupero e rifunzionalizzazione in senso museale/espositivo del parco dell’ex Polverificio borbonico (Parco del Sarno) e riqualificazione della struttura architettonica esistente, come museo archeologico-ambientale dell’agro sarnese-nocerino e centro studi delle civiltà pre-romane della campania felix.
- INTERVENTI SUL SISTEMA A MONTE DELLA VASCA CICALESI:
2.a. realizzazione del sistema separato di fognature (acque meteoriche + acque reflue industriali + acque reflue civili) per tutti i comuni da Solofra fino a Nocera inferiore e attivazione degli impianti di trattamento per le acque di prima pioggia;
2.b. realizzazione del sistema di recupero delle acque reflue industriali al fine di riutilizzarle in una rete dedicata per un acquedotto industriale, in modo da consentire alle industrie (p. es. le concerie)di utilizzare le stesse in un ciclo tendenzialmente chiuso, evitando sprechi e contaminazioni.
2.c. consentire alle sole acque meteoriche di seconda pioggia e alle acque sorgentizie di raggiungere gli alvei naturali (o da naturalizzare), di modo che le previste vasche di laminazione o le aree ad esondazione controllata, possano essere interessate esclusivamente da acque naturali e non inquinate. Si chiude la presente proposta “ad integrandum” del GPS facendo presente a chi legge che non si ignora la sua complessità, aggravata dalla compresenza e sovrapposizione di competenze ai vari livelli istituzionale, ma si segnala che il GPS “in attuazione” per iniziativa della Regione Campania, oltre a non avere risolto tale complessità, rischia di essere un interveto decisamente più costoso in termini di risorse pubbliche da impiegare per l’attuazione, ma anche drammaticamente più invasivo del territorio, nonché distruttivo delle residue risorse ancora intatte del Sistema fluviale del Fiume Sarno.